Accessibilità ed eliminazione delle barriere architettoniche

Secondo l'art. 2 del D.M. 236/89:
"Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire dei suoi spazi e delle sue attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e di autonomia."

Il termine 'anche' é fondamentale, perché significa che la possibilità di cui si parla riguarda tutti, compreso chi ha difficoltà motorie o sensoriali.

La Legge 13/89, di cui la norma citata è il decreto attuativo, nonché le altre ad esse legate e parte dell'attuale impianto legislativo in materia, segnano una svolta culturale fondamentale, in cui l'originario senso del termine accessibilità fa propri nuovi attributi di sicurezza, di comodità d'uso, di fruibilità in autonomia, senza disagio o affaticamento.

Sia pur con difficoltà, l'equazione: accessibilità →→ barriere architettoniche →→ disabile su sedia a rotelle tende a scomparire, grazie al nuovo significato che è proprio il legislatore a sancire, stabilendo l'obbligatorietà di garantire a tutti, a prescindere dallo stato di salute in cui la persona si trovi, pari opportunità di uso e di vivibilità degli spazi urbani ed edificati.

L'accessibilità diventa dunque un requisito di qualità di un edificio o di uno spazio, pubblico o privato che sia, perché ne consente la fruizione senza sforzo e in modo agevole e sicuro. Uno spazio accessibile è ovviamente privo di barriere architettoniche, altrimenti sarebbe uno spazio meno sicuro e più disagevole.

Ma attenzione: se per qualcuno una scala - barriera architettonica per antonomasia - costituisce una fonte di affaticamento o un ostacolo spesso insuperabile, per altri - ad es. chi non vede o chi vede poco - essa può rappresentare un sistema di mobilità persino più sicuro, perché costituisce un riferimento certo, stabile e facilmente individuabile.

E ancora, un lungo percorso aperto e orizzontale è facilmente percorribile da una mamma che rechi un bimbo in carrozzina, o da una persona su sedia a rotelle o da chi trasporti carrelli ecc.., per altri invece può diventare una vera barriera in assenza di opportune segnalazioni visive o uditive, o di appoggi, o semplicemente di una panchina su cui fermarsi un attimo per riposare. 

Dunque anche il concetto di barriera va inteso in senso più ampio, non riferibile ad un'unica fascia di persone con particolari necessità, e non solo in termini architettonici ma anche psicologici. Una sorta di "ghettizzazione" progettuale che ha caratterizzato i decenni precedenti e che ha prodotto opere dedicate a specifiche categorie di utenti, per tanti è stata infatti un fattore inibente proprio da un punto di vista emotivo e psicologico. Si pensi al bagno per disabili, eredità del Decreto 348/78, che - sebbene nato con più nobili intenzioni - riporta alla triste separazione fra bianchi e "colored" o altre forme di emarginazione delle società razziste.

Pertanto la prima parte dell'equazione, nonostante la maggiore valenza dei concetti, resta vera, ma la seconda è ormai falsa.

L'accessibilità riguarda tutti ed è requisito essenziale e inderogabile delle nostre città, delle case, dei sistemi di trasporti, dei luoghi turistici e di quelli culturali. Con le sue gradazioni, essa esprime con chiarezza lo sviluppo culturale ed il livello di civiltà raggiunti dalla società.

 

 

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